Ripensare il lavoro a Messina

di Andrea Marchello

Sono in treno, sto tornando a casa per Pasqua, e mi capita di leggere un articolo sul lavoro (che non c’è) a Messina, in generale, ma anche -ed è drammatico- per laureati, specializzati e dottori di ricerca. Può sembrare una cosa da poco, ma è devastante se ci sforziamo di immaginare un futuro non troppo lontano.

Praticamente il lavoro a Messina è così: su 125.000 assunti nel 2017, l’80% è a tempo determinato (che significa che quando non servi più, addio) e di questi 125.000 i laureati e quelli con master o dottorato sono 7.286 (rispettivamente 6.860, 388 e 38); mentre gli assunti senza alcun titolo di studio sono 14.336 e chi ha fatto la terza media 54.818.

Badate bene, non è snobismo; non è schifiare alcuni lavori o chi li svolge. Si tratta semplicemente di un modello di impostazione del lavoro che non è sostenibile e che già ci ha messo davanti alla dimostrazione di come il sistema cittadino sia imploso ed il tessuto sociale deteriorato.

Se il laureato non trova lavoro nella sua città dovrà andare fuori, andando fuori trasferirà le sue conoscenze altrove, se trasferisce le sue conoscenze altrove arricchirà altre realtà.

Se al mercato del lavoro messinese servono meno specializzati in professioni scientifiche ma si assumono 37.459 persone per incarichi che non richiedono qualifiche specifiche significa che non si fa ricerca, non si fa innovazione, e che ricerca ed innovazione non interessano alla Città. Col risultato che è il sistema produttivo cittadino a risentirne…

In uno studio, il World Economic Forum ha stimato che circa il 65% dei bambini che frequentano le scuole elementari svolgeranno una professione che al momento non esiste nemmeno. E mentre in città si continua a vedere nel commercio l’unico settore in cui puntare, non ci si rende conto che sarà uno dei settori, stando a dati WEF, che subirà maggiormente un calo di richiesta, insieme a mansioni di amministrazione ed ufficio.

Ancora, in questa stima della Commissione Europea, si calcola come dal 2015 al 2020 circa 825.000 posti di lavoro resteranno vacanti per mancanza di professionalità: sono principalmente le professioni del digitale, delle quali c’è sempre più richiesta e meno formati. E sulle quali non si investe. Il lavoro ha bisogno di nuove skills.

Nel nostro piccolo, la politica deve occuparsi di gestire questo cambiamento.

Fermo restando che nessuno deve rimanere indietro, bisogna capire che le cause della depressione del nostro territorio sono chiare, come chiare sono le soluzioni per affrontare il problema e risolverlo brillantemente.

Serve guardare lontano senza tralasciare il vicino, non occuparsi esclusivamente dell’oggi senza curare minimamente il domani.

L’immagine in evidenza è Power house mechanic working on steam pump, di Lewis Hine (1920)

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